Abbiamo incontrato il Dott. Maurizio Gelati che lavora presso il “Laboratorio Cellule Staminali, Cell Factory e Biobanca” di Terni come Qualified Person (Persona Qualificata), responsabile cioè della qualità del farmaco cellulare.
Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, tra i fautori in Italia della ricerca e sperimentazione clinica con cellule staminali neurali al fianco del Prof. Angelo Luigi Vescovi, ci ha illuminato circa il delicato processo delle cellule staminali neurali per diventare farmaco.
Buongiorno Maurizio, raccontaci del tuo lavoro per Revert, di cosa ti occupi precisamente?
Io nasco come biologo, con formazione in ambito di ricerca, effettuata quasi tutta all’interno di un ospedale che si occupava esclusivamente di neurologia. Nel 2006 ho ottenuto dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) il Patentino che mi qualifica a garantire le caratteristiche di sicurezza e di qualità nella produzione di un farmaco cellulare. L’AIFA esamina scrupolosamente il curriculum vitae per accertarsi che il profilo della persona esaminata sia idoneo a poter garantire la qualità di un farmaco. Io sono qualificato a lavorare in industrie che producono solo farmaci cellulari non in altre che producono farmaci tradizionali, perché appunto ho una formazione da biologo cellulare.
Grazie a ciò, insieme al Prof Vescovi, abbiamo cominciato a produrre un farmaco a base di cellule staminali neurali umane, a Terni prima e oggi anche San Giovanni Rotondo, un farmaco che viene utilizzato nelle sperimentazioni sull’uomo per le malattie neurodegenerative.
Qual è il tuo lavoro giorno per giorno
Ogni giorno coltiviamo cellule come un normale laboratorio di ricerca, ma una parte rilevante del mio lavoro è quella della registrazione di tutti gli atti, la documentazione necessaria per dimostrare e garantire che il lavoro mantenga un’elevata sicurezza e standardizzazione.
Infatti, la sicurezza sulla qualità delle cellule prodotte è garantita dal fatto che dobbiamo seguire le linee guida della buona pratica di lavorazione farmaceutica e quindi verificare ossessivamente ogni minimo passaggio.
Per esempio, se si compra un terreno in coltura, si deve verificare che il fornitore sia un fornitore affidabile, che abbia eseguito un certo numero di test sul terreno per garantirne la sterilità e una bassa presenza di endotossine (quegli elementi che possono scatenare shock anafilattici). Da lì in avanti ogni componente, strumento e passaggio viene controllato nella stessa scrupolosa maniera.
Ogni particolare è tenuto sotto controllo per abbattere il rischio di danneggiare l’utente finale che è il paziente.
Nell’industria farmaceutica non esiste il rischio zero, però esiste un rischio vicino allo zero, ed è quello a cui si deve tendere, cercando di tenere sotto controllo ogni fase finanche quella legata alla pulizia dei pavimenti.
Inoltre si controlla ossessivamente anche l’ambiente, per mantenere standard di sicurezza, sterilità e controllo del rischio.
Quindi, l’autorizzazione e la certificazione dell’AIFA è legata al luogo oltre che alla procedura che si utilizza ed è, appunto, sito specifica.
In cosa è unico il tuo lavoro
Ci sono 16 Cell Factory in Italia, quindi non siamo unici, ma quello che è unico è il tipo di farmaco che viene prodotto qui: siamo l’unica Cell factory italiana e, a mia conoscenza, anche europea se non mondiale, che produce cellule staminali neurali umane.
La maggior parte delle altre Cell Factory sono legate a protocolli di onco-ematologia e quindi producono generalmente cellule staminali mesenchimali o tessuti per ricostruire organi, tipo la pelle, o parti degli occhi. Sono quindi altri tipi di staminali. Le nostre, invece, sono le uniche cellule staminali del sistema nervoso centrale prodotte in GMP.
Qual è l’Iter di produzione delle cellule staminali cerebrali?
Le cellule vengono messe in un terreno brevettato dal Prof. Angelo Luigi Vescovi attorno al 1996, un terreno chimicamente definito. Questo terreno ha la caratteristica principale di selezionare solo le cellule staminali provenienti dal tessuto prelevato. Tutto quello che non è staminale va, invece, incontro a morte cellulare programmata e nella cultura rimangono soltanto le cellule staminali neurali. Questo avviene in un lasso di tempo piuttosto lungo, perché questo processo dura svariate settimane. Le cellule prodotte vengono poi congelate in attesa che ci sia attivo un Trial Clinico e ci sia una richiesta ufficiale di un medico che deve trattare il paziente. Il congelamento di queste cellule ci consente, inoltre, di avere il tempo per fare ancora ulteriori test che ne verificano la sicurezza. Test che saranno poi ripetuti a ridosso del trattamento del paziente. Sono quindi test di sicurezza, ripetuti almeno due volte nel corso della manipolazione cellulare.
Quali sono le motivazioni che ti spingono a fare questo lavoro, cosa ti appassiona
La traslazionalità completa di questo tipo di attività, il passaggio dalla ricerca pura alla sperimentazione clinica sull’uomo. Dopo aver fatto il ricercatore per tanto tempo, quindi dopo essere stato al bancone a cercare di capire i meccanismi cellulari, ora vado a verificare se queste cellule hanno un’efficacia nel migliorare le patologie umane oppure no. Pure essendo solo una rotella di questo enorme meccanismo, sono molto soddisfatto.
Cosa ti manca per fare ancora meglio il tuo lavoro?
(ride) Mancano sempre i fondi. Il nostro lavoro rappresenta una tematica relativamente nuova. Infatti non ci sono linee di finanziamento dedicate alla ricerca traslazionale. E’ importante quindi donare, raccogliere fondi, perché altrimenti difficilmente possiamo andare avanti.
Alcuni dicono che la ricerca ha tempi lunghi. Ci spieghi perché occorre tempo?
Un’industria farmaceutica tradizionale, anche multinazionale, ci mette circa vent’anni per rilasciare sul mercato nuovi farmaci. Ora perché una terapia avanzata dovrebbe metterci meno? Le grandi industrie impiegano nella ricerca almeno 3.000 persone, mentre Revert e i progetti attualmente presenti per la traslazionalità del Prof Vescovi, tra Bicocca, Terni e San Giovanni Rotondo, ne impiega poco più di una decina più l’equipe che lavora presso il Niguarda per la ricerca preclinica sulle bioprotesi per le lesioni spinali.
Se avessimo più fondi potremmo accelerare di 300 volte, perché potrebbero aumentare il numero di ricercatori impiegati e i laboratori.
Infine vorremmo chiederti di rappresentare il tuo lavoro con una metafora, un’immagine.
Io mi sento un traghetto tra il bancone della ricerca, che m’illumina sulla potenzialità di una cellula e le sue applicazioni terapeutiche, ed il Trial Clinico che deve poi trattare e curare il paziente.