
Eccoci alla terza parte dell’intervista al prof. Angelo Vescovi, Direttore Scientifico di Revert e dell’Istituto Scientifico Casa Sollievo della Sofferenza. Lo abbiamo incontrato per scoprire di più sulla sua storia e in questa ultima parte ci racconta cosa rende unica Revert Onlus.
Per leggere la prima parte della sua intervista clicca qui.
Ci può parlare del razionale etico-scientifico che guida il suo lavoro, aiutandoci a capire la distintività di Revert?
Ogni essere vivente vive la sua vita perché rappresenta, in sé, un sistema biologico (e quindi un sistema fisico) in perfetto equilibrio. Quello che è per esempio Angelo Vescovi (tutte le caratteristiche della persona) nasce dal fatto che nelle mie cellule c’è un patrimonio genetico che contiene una quantità di informazioni assolutamente incredibile. Quell’informazione serve a conoscere il sistema per assemblare delle molecole generiche, dall’acqua fino agli zuccheri, in molecole complesse che a loro volta si assemblano in macromolecole, le quali poi si assemblano in cellule e la cellula è il mattone fondamentale della vita. Queste cellule si specializzano negli oltre 250 differenti tipi presenti nel nostro organismo e si moltiplicano in un numero di milioni e miliardi per comporre l’essere umano. Ogni essere umano è diverso dall’altro e questo si deve alla specificità dell’informazione genetica contenuta nelle cellule di ciascuno. Quell’informazione è essenzialmente Angelo Vescovi: la mia identità è il mio contenuto di informazione racchiuso all’interno del mio patrimonio genetico. È questo che mi permette di essere un sistema altamente ordinato e funzionante in grado di interagire con gli altri. Questa è la vita, ridotta in poche, semplici parole.
Ora facciamo alcune considerazioni per capire perché la vita è e deve essere inviolabile, sacra, non necessariamente in senso strettamente religioso. Oggi Angelo Vescovi ha 58 anni, ma proviamo a riavvolgere il nastro e torniamo al tempo zero, al momento della sua nascita. Arriviamo quindi al giorno della fecondazione. Nel momento in cui l’ovocita viene fecondato dallo spermatozoo, per la prima volta in 13,6 miliardi di anni (per quanto ne sappiamo noi) della storia dell’universo nasce una entità biologica mai esistita prima e che mai esisterà dopo, quindi unica, identificabile con Angelo Vescovi. Questo piccolo ovocita fecondato, che è lo zigote, la prima cellula che costituisce gli essere umani è il primo stadio di un Angelo Vescovi che conoscerete di persona dopo la nascita. Un millisecondo prima che la testa dello spermatozoo entrasse nell’ovocita questa entità biologica non esisteva. Quando inizia Angelo Vescovi? Semplice, addirittura banale: inizia all’atto della fecondazione.
Non è una dimostrazione di fede ma una rigorosa dimostrazione scientifica. Un millisecondo prima della fecondazione l’ordine è zero. Non esiste l’informazione che codifica per creare e mantenere l’essere umano Vescovi, in nessuno dei suoi stadi, nemmeno i più semplici. L’ordine che definisce l’essere umano Vescovi è nullo, il disordine è assoluto. Quella transizione da disordine infinito a gradi di ordine superiori a zero e in aumento durante lo sviluppo, la vita, avviene all’atto della fecondazione. Lì comincia la vita. Questo vale per qualsiasi entità fisica e in particolare per quelle biologiche.
Questo non è altro che la lotta della vita e delle strutture ordinate contro la tendenza dell’universo (secondo principio della termodinamica) che fa sì che tutte le strutture biologiche e fisiche, le entità che esistono nell’universo, tendano a un grado di disordine sempre maggiore (secondo principio della termodinamica). La fecondazione riporta il disordine a un livello finito. Con la morte purtroppo questo livello finito torna all’infinito un’altra volta. In mezzo c’è la vita. Ed è un ciclo continuo, nel quale la riproduzione è il nuovo inizio.
Quello che sto cercando di dire è che noi siamo entità costruite per sopravvivere alla tendenza naturale verso il caos.
Ogni entità che combatte una battaglia di questo genere è un’entità vivente e la vita va protetta. L’alternativa è l’annichilimento nel caos. La vita è qualcosa di sacro, non nel senso religioso del termine ma in senso profondamente filosofico. È parte integrante della nostra natura. Noi nasciamo con una battaglia feroce per venire al mondo, per resistere e per poter rilanciare la scommessa. Resta la questione del fine ultimo, se esiste, ma è una domanda per religiosi e filosofi, per la quale la scienza può fornire i mezzi per l’interpretazione e alla quale anche gli scienziati possono contribuire con la loro cultura, ma la risposta è al crocevia tra queste ed altre aree dell’attività umana.
A prescindere, come scienziato ed essere umano non posso prendere in considerazione nessuna tecnica che costruisce la vita o utilizza la vita che già c’è, con lo scopo di smembrarla e distruggerla ai fini di ricerca. È la negazione della nostra stessa natura; sono assolutamente contrario. Questa è proprio una rappresentazione del peccato, ancora una volta nel senso non religioso del termine. Io sono contrario a qualunque forma di scienza che nuoccia all’essere umano per supposte finalità di conoscenza.
Quindi nella mia visione la scienza nasce per comprendere, studiare, proteggere e curare la vita. Tutte le tecniche terapeutiche devono rispettare questa vita: è da questo presupposto che nascono gli studi sui feti morti per cause naturali e il famoso transdifferenziamento (se dalle cellule della pelle posso ottenere cellule cerebrali non ho più bisogno di creare embrioni per poi “frullarli”).
Nessuno questiona le proprietà delle cellule staminali embrionali, ma il concetto base è che non c’è modo di prendere le cellule staminali embrionali senza programmare la nascita e la successiva distruzione dell’embrione. È un orrore dal punto di vista filosofico e, dal punto di vista scientifico, è una contraddizione assoluta. Io a questo mi sono ribellato e ho sostenuto che era possibile farlo in maniera diversa.
Oggi sono due le tecniche che hanno ovviato a questo problema e che si utilizzano per ottenere cellule staminali da impiegare per la cura dei pazienti. La prima consente di ottenere staminali cerebrali da un aborto spontaneo procedendo con un prelievo uguale a quello della donazione d’organo. Se i genitori danno l’assenso, si fa una biopsia e si preleva un frammento di tessuto cerebrale grazie al quale si ottengono cellule per trapiantare centinaia o anche migliaia di pazienti.
La seconda è la tecnica delle cellule indotte pluripotenti, con la quale si riportano cellule adulte ad uno stadio embrionale. A maggio dell’anno scorso abbiamo pubblicato un lavoro che dimostra come con questa tecnica, detta di Yamanaka, sia possibile ottenere delle cellule simil-embrionali staminali dalla pelle di un paziente, e da queste estrarre la linea delle cellule staminali cerebrali funzionalmente identiche a quelle fetali. Questo passaggio ci permetterà di non usare più neanche i feti da aborto spontaneo.
Questo studio sulle cellule della pelle è fondamentale, perché molti colleghi hanno ottenuto cellule nervose dalle cellule indotte pluripotenti, ma nessuno era mai riuscito a generare staminali cerebrali analoghe a quelle fetali e impiegabili per i trapianti. Una mia ex collaboratrice una volta lo aveva fatto, ma utilizzando dei vettori virali. I vettori virali che si usano per riprogrammare le cellule, cambiandone il destino, rimangono nel DNA. Rimanendo nel patrimonio genetico, se quella cellula viene trapiantata, continua ad avere al suo interno un vettore virale.
La nostra tecnica prima di tutto non utilizza virus, ma non utilizza neanche integrazioni all’interno del genoma, che così rimane intatto.
Oggi noi siamo in grado di generare cellule cerebrali staminali dalla pelle o dal sangue: basta in realtà fare un prelievo di sangue e avere così le proprie cellule di riserva, con una procedura che è compatibile con gli standard per l’utilizzo in clinica. Questa procedura adesso va certificata. Stiamo lavorando per creare uno standard.
In conclusione, posso dire che abbiamo sviluppato delle tecniche alternative all’uso degli embrioni.
Io parto da una profonda convinzione filosofica, che non ha niente a che fare con una convinzione religiosa. Coincide con la visione della chiesa, perché va nella direzione di proteggere la vita, ma questo è un altro discorso.
Revert nasce per dire ‘Si può fare senza distruggere la vita’. Non si tratta di una missione religiosa, ma di una missione ancora più profonda. È una missione umana, filosofica ed è fondante proprio della natura dell’uomo.
L’Associazione nasce nel 2003 (con il nome di Associazione Neurothon Onlus) per finanziare, promuovere e incentivare la ricerca sulle cellule staminali cerebrali ed avviare la sperimentazione clinica sull’uomo per trovare una cura alle malattie neurodegenerative.
Possiamo affermare che la sua storia è una storia di tanti no, che ha smentito grazie alla ricerca scientifica?
Questa storia è una storia lunghissima fatta di tanti tasselli. Abbiamo fatto tanti errori ma, alla fine, tutte le nostre intuizioni e teorie si sono dimostrate vere e da queste sono nati nuovi settori della ricerca che prima semplicemente non esistevano.
- Le staminali cerebrali non potevano esistere. Abbiamo dimostrato il contrario.
- Ci avevano detto che non si sarebbe mai arrivati a fare la sperimentazione con staminali cerebrali sull’uomo. Stiamo chiudendo la seconda sperimentazione umana.
- Come si curano le malattie neurodegenerative a matrice diffusa, dove il danno è distribuito in mille punti del cervello e del midollo spinale, come la sclerosi multipla? Abbiamo concepito l’iniezione sistemica di staminali cerebrali, che è poi valsa una pubblicazione su Nature.
- I tumori cerebrali sono incurabili. Questo lo vedremo, ma intanto sono nati metodi di cura che sono in fase di sperimentazione e che nulla hanno a che fare con quelli classici e tossici.
- Le staminali cerebrali non si possono ottenere dall’aborto spontaneo. Fatto.
- Non si possono generare staminali cerebrali utilizzando altre parti del corpo. Fatto.
E sono branche di ricerca molto promettenti. Questa è la storia che c’è dietro Revert.
Come è nato il rapporto con sua S.E. Monsignor Paglia?
Nel 2000 sono stato chiamato a operare a Terni da una Fondazione impegnata sul territorio. Il progetto non è mai decollato ma in quell’occasione conobbi Monsignor Paglia, che in quegli anni era il Vescovo di Terni.
Insieme abbiamo iniziato il percorso di Revert e fondato la Cell Factory di Terni, un sito in cui produrre le cellule con l’obiettivo di utilizzarle sul paziente di grado clinico. Ci abbiamo messo 7 anni per avere la prima certificazione e arrivare alla prima sperimentazione il 22 giugno del 2012.
Il progetto Revert non esisterebbe senza S.E. Monsignor Vincenzo Paglia. È una strana combinazione di un agnostico e un credente che in realtà sono uniti da un obiettivo comune, il sollievo della sofferenza per pazienti disperati. Perché chi non ha visto queste malattie neurodegenerative non sa che cosa sia la disperazione.