“Il nostro lavoro è un continuo stimolo, ogni giorno impariamo nuove tecniche e acquisiamo nuove informazioni”. Intervista alla Dott.ssa Amata Amy Soriano

La Dottoressa Amata Amy Soriano, appassionata ricercatrice nel team del Prof. Angelo Vescovi, si occupa della Leucodistrofia Ipomielinizzante, una malattia genetica rara che colpisce il sistema nervoso centrale. “Siamo ancora agli stadi iniziali della ricerca, ma siamo orgogliosi dei risultati ottenuti che verranno presto pubblicati in un paper”- ci confida la Dott.ssa Soriano, che abbiamo intervistato per scoprire maggiori dettagli del suo lavoro in laboratorio e delle esperienze che l’hanno portata a occuparsi di ricerca scientifica.

 

Qual è stato il percorso formativo?

Ho conseguito la laurea triennale in Biotecnologie per la Salute presso l’Istituto di Genetica e Biofisica del CNR di Napoli e, in seguito, la laurea Magistrale in Biotecnologie Mediche presso l’unità di Microbiologia del Policlinico di Napoli. Conclusa quest’ultima, ho svolto il Dottorato di ricerca in Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche presso l’Istituto per l’Endocrinologia e l’Oncologia Sperimentale (CNR-IEOS), con un progetto dedicato allo studio dei meccanismi molecolari del tumore all’ovaio.

Durante sei mesi di dottorato, ho frequentato l’Università di Copenaghen con lo scopo di implementare i risultati del mio progetto di ricerca e, una volta rientrata in Italia e discusso la tesi, mi sono candidata per una posizione di post-doc nel laboratorio di ricerca coordinato dal Prof. Vescovi. Dal 2019 ad oggi, faccio parte del team della Dott.ssa Jessica Rosati, presso l’Istituto CSS Mendel di Roma.

 

Quali sono i progetti di cui ti occupi?

All’interno del team mi è stato affidato un progetto totalmente nuovo, sia per me che per la comunità scientifica. Studio la Leucodistrofia Ipomielinizzante, una patologia genetica rara che colpisce il sistema nervoso centrale. Questa patologia è causata da mutazioni in omozigosi in geni che codificano per una delle 17 subunità dell’RNA Polimerasi III. Ho potuto iniziare lo studio di questa patologia grazie alla donazione di biopsie cutanee da parte dei componenti di varie famiglie affette.

 

È una tecnica poco invasiva?

Si, è una tecnica poco invasiva ma utile per studiare l’avanzamento della malattia in coltura. Basta una incisione sul braccio, dalla quale si ricava poi un piccolissimo cilindro di cute he servirà per ottenere i fibroblasti in coltura. Lavorando in un gruppo specializzato nella riprogrammazione cellulare, questo tipo cellulare verrà poi convertito in cellule neuronali. Per ogni donatore si ottengono, in questo modo, popolazioni neuronali che riflettono le caratteristiche genetiche di partenza. Essendo il tessuto neuronale pressoché impossibile da ottenere, questo approccio è ormai divenuto fondamentale per poter creare un modello di studio in vitro con lo scopo di studiare malattie neurologiche e meccanismi neuronali in modo persona-specifico.

 

Come procede il tuo percorso di ricerca sulla malattia?

Studiando questa patologia da circa un anno, sono attualmente allo stadio iniziale, ovvero lo studio del comportamento dei fibroblasti. In particolare, sto focalizzando i miei studi sull’assetto lipidico delle cellule e la riorganizzazione dei vari organelli citoplasmatici. Nonostante siamo ancora agli step iniziali della ricerca siamo orgogliosi dei risultati ottenuti, che presto pubblicheremo in un paper.

 

Come si svolge la tua giornata lavorativa?

Dedico molte ore alla mia giornata lavorativa. Oltre ad eseguire esperimenti di biologia cellulare e molecolare, cerco di concentrarmi maggiormente sull’analisi dei dati ottenuti. Questa è di sicuro la parte della giornata che richiede più tempo e dedizione, grazie alla quale, però, è possibile visualizzare nel modo giusto i dati ottenuti, studiarli e pianificare nuovi esperimenti.

 

Come vedi il futuro della ricerca?

Il nostro lavoro è un continuo stimolo, ogni giorno impari nuove tecniche e acquisisci nuove informazioni, è quindi davvero impossibile annoiarsi. Se penso al futuro della ricerca sono ottimista perché sono sempre più circondata da giovani tesiste, dottorande e ricercatrici cariche di entusiasmo e curiosità. L’esperienza lavorativa all’estero mi ha fatto capire che, purtroppo, in Italia, la nostra figura professionale è spesso messa in ombra ed è triste pensare che la pandemia sia stata l’unica capace di  rivalutare l’importanza che ha il nostro ruolo per il benessere comune. Ecco, quello che spero per il futuro è che si possano stanziare maggiori fondi e risorse per la ricerca scientifica in modo da unire l’entusiasmo e la tenacia dei ricercatori italiani a mezzi e strutture sempre più innovative.

 

Il tuo sogno nel cassetto?

Come penso ogni ricercatore, il mio sogno è quello di avere l’intuizione giusta per la risoluzione di una problematica biologica che porti nel tempo alla cura di una malattia irrisolta. Dare quindi il massimo del mio contributo alla comunità scientifica senza perdere mai la passione per la ricerca.