“Grazie alla ricerca sento di poter fare qualcosa di concreto, che non resta confinato in laboratorio, ma può avere davvero un impatto nella vita delle persone”. Sono queste le parole che ci confida Elisa Perciballi, Dottoranda nel team del Prof. Angelo Vescovi durante la chiacchierata che ci ha permesso di vedere il mondo della ricerca attraverso l’esperienza e i sogni della giovane ricercatrice.
Dott.ssa Perciballi, come ha scoperto la sua passione per la scienza?
Il mio percorso di studi è iniziato nel 2015 all’Università Sapienza di Roma, presso la facoltà di Scienze Biologiche. È qui che ho capito di aver intrapreso il percorso giusto, poiché ho amato la scienza da subito e di anno in anno mi sono appassionata sempre di più alle discipline che studiavo. Dopo la laurea triennale ho continuato con la magistrale in Genetics and Molecular Biology. Durante il corso magistrale ho avuto la possibilità di svolgere un tirocinio di un anno in laboratorio e ho scelto l’Istituto C.S.S. Mendel nell’Unità di Riprogrammazione Cellulare, guidata dalla Dott.ssa Jessica Rosati, che si occupa appunto di riprogrammazione di cellule somatiche derivanti da pazienti affetti da malattie neurodegenerative al fine di produrre cellule staminali pluripotenti indotte. Questo è stato anche il focus della mia tesi magistrale. Purtroppo, a causa del Covid-19 non ho potuto terminare il tirocinio in laboratorio, ma proprio in quel periodo mi sono resa conto di quanto mi mancasse effettivamente quell’ambiente e che volevo proseguire in questo ambito della ricerca. In particolare, mi era piaciuta l’idea di entrare a far parte del team del Prof. Vescovi, un ambiente che ho subito percepito come multidisciplinare, all’interno del quale si ha la possibilità di instaurare diverse collaborazioni. Così ho deciso di continuare con un dottorato presso l’Università di Milano-Bicocca.
Ci vuole parlare del suo progetto di ricerca?
Ho intrapreso il Dottorato di ricerca presso il Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali guidato dalla Dott.ssa Daniela Ferrari, dove attualmente sto svolgendo il secondo anno del corso in Tecnologie Convergenti per Sistemi Biomolecolari. Per le attività di ricerca lavoro in sinergia con i membri del team del Prof. Vescovi e il mio progetto è incentrato sullo studio della SLA. Per essere più precisi utilizzo diversi tipi cellulari derivanti da pazienti affetti da SLA, o da donatori sani, e attraverso l’utilizzo di diverse tecniche valuto l’esistenza di marcatori: biochimici, metabolici o molecolari. Anche se il mio progetto è legato più alla ricerca di base, dovendo appunto lavorare ogni giorno con cellule derivate da pazienti, riesco a rimanere sempre concentrata sul mio obiettivo finale, ovvero poter contribuire a migliorare la loro vita.
Che cosa l’ha spinta a intraprendere questo percorso?
Le motivazioni principali sono state due: in primo luogo la mia grande curiosità, mi piace pormi sempre nuove domande e la ricerca mi ha dato lo slancio di cui avevo bisogno, perché spesso la risposta a un interrogativo è una nuova domanda. Per me il bello è proprio questo: riuscire a tenere viva la mia curiosità e sentirmi parte di un processo di continuo apprendimento, un processo che trovo sempre più stimolante. Inoltre, ciò che mi ha spinto a intraprendere questo percorso è il desiderio di fare qualcosa di concreto per aiutare le persone. Anche se il mio lavoro rappresenta solo un piccolo tassello rispetto a quello che fanno tutti i ricercatori, unendo tutti i tasselli mi rendo conto di far parte di qualcosa di grande, che può dare tanto all’intera collettività.
Come si svolge la sua giornata lavorativa?
Le mie giornate lavorative non sono quasi mai identiche, cambiano molto in base all’obiettivo che abbiamo in quel momento e agli esperimenti che stiamo portando avanti. Di solito la giornata inizia con un breve meeting in ufficio insieme a tutti i membri del gruppo, durante il quale pianifichiamo sia la giornata che la settimana, “dividendoci i compiti”. Io mi occupo principalmente di colture cellulari e, per questo, lavoro ogni giorno sotto cappa per monitorare le colture, amplificarle, controllarle e pianificare gli esperimenti, che spesso possono durare diversi giorni. A questo aspetto del lavoro più pratico, si accompagna tutta una analisi dei dati ottenuti dagli esperimenti. Di solito la mia giornata finisce con la lettura di varie pubblicazioni scientifiche, per essere sempre aggiornata sull’utilizzo di nuove tecniche di lavoro, oppure, seguo corsi o seminari per approfondire le conoscenze nel mio ambito di ricerca.
Come vede il futuro della ricerca?
Sono molto fiduciosa per il futuro e, anche se ad oggi purtroppo le malattie neurodegenerative non hanno ancora una cura, lavorando sul campo mi rendo conto che la ricerca scientifica negli ultimi anni non solo ha fatto passi da gigante, ma viaggia a una velocità tale che a volte non riusciamo neanche a percepire. Per esempio, parlando della mia esperienza diretta, oggi utilizzo in laboratorio delle tecniche che quando ho iniziato il corso di laurea triennale ancora non esistevano, eppure parliamo di pochissimi anni fa. Tutto ciò mi spinge a pensare che la ricerca ci porterà a raggiungere grandi risultati e tra questi, quello che accomuna tutti noi ricercatori: riuscire a trovare una cura per quei pazienti che purtroppo oggi non ce l’hanno.
Qual è il suo sogno nel cassetto?
Per il futuro mi auguro di poter continuare sulla strada che ho intrapreso nel mondo della ricerca, perché il mio lavoro mi permette di fare ogni giorno nuove esperienze, di imparare cose nuove, di continuare a essere curiosa e di fare sempre meglio. Grazie alla ricerca sento di poter fare qualcosa di concreto, che non resta confinato in laboratorio, ma può avere davvero un impatto sulla vita delle persone. Se parliamo di un sogno nel cassetto, spero un giorno di poter contribuire a una grande scoperta scientifica, per esempio la cura per le malattie neurodegenerative.