
Riportiamo la testimonianza di Cristina, che ha ricevuto la diagnosi di SLA nel 2011 ma non si è mai fermata, nella speranza che la ricerca trovi presto soluzioni efficaci di cura.
Ci può raccontare della sua malattia?
Sono Cristina e sono sposata con il mio meraviglioso marito Guglielmo da marzo 2008. Dopo solo tre anni, nel giugno 2011, la SLA è entrata nella nostra famiglia. All’inizio camminavo male, poi ho cominciato a cadere, dopo un anno anche le braccia e le mani non si muovevano più correttamente… in breve tempo in carrozzella, e nel giro di qualche anno anche la parola è venuta meno e dal 2017 mi nutro tramite peg. Raccontare di me, di noi, di come stiamo vivendo la malattia e di chi ci sta accanto ci fa ripercorrere la nostra storia, e soprattutto ci aiuta a riconoscere, grazie ad un cammino, chi ci ha sostenuto e continua a sostenerci. E questo, seppur nel dolore e nella fatica, è sempre fonte di gratitudine e speranza!
Come è arrivata la diagnosi di SLA?
Nei primi mesi del 2011 era solo una mia percezione il non appoggiare bene il piede, cioè non era visibile esteriormente, ma ben presto ho cominciato a zoppicare ed anche i tremori, che successivamente avremmo saputo essere cloni e fascicolazioni, erano sempre più presenti. Sono partiti gli accertamenti, ma fiduciosa che non fosse niente di grave, tra una risonanza e l’altra, ho trascorso una meravigliosa settimana bianca con i famigliari, con sciate bellissime ed una splendida escursione coi racchettoni sulla neve col mio papà.
L’ipotesi iniziale che fosse un’importante ernia cervicale la causa di tutto lasciava perplessi alcuni medici, perché avrebbe compromesso maggiormente gli arti superiori; tanto che a maggio un neurochirurgo, consultato per l’intervento, disse, senza tanti giri di parole, che l’ernia era l’ultimo dei miei problemi, trattandosi di qualcosa di degenerativo. Non avevo ben chiaro cosa significasse, essendo sempre stata bene, ma il tono non faceva presagire nulla di buono! L’8 giugno 2011, dopo ulteriori esami, ho ricevuto la diagnosi di Sclerosi Laterale Amiotrofica, presso l’Ospedale Maggiore della Carità di Novara, da parte della dott.ssa Letizia Mazzini, che con passione, professionalità e attenzione mi ha in cura ancora oggi.
Volevamo essere certi della diagnosi, così nel dicembre 2011 siamo andati a Houston, in Texas, per avere una seconda diagnosi da uno specialista, che confermò definitivamente questa terribile malattia e l’ottimo lavoro svolto in Italia.
Durante la ricerca delle potenziali cause della SLA, mi hanno trovato anche un mieloma. Così, grazie al Centro Clinico NEMO di Milano e al San Raffaele, nel marzo 2013 mi sono sottoposta ad un trattamento di chemioterapia e poi ad un trapianto di midollo osseo con cellule staminali del mio stesso sangue. L’obiettivo era di trattare il mieloma ma speravamo di avere effetti positivi anche sulla SLA… dovrebbe essere questione di tempo, magari anni! Di certo il declino repentino dei primi anni si è ridotto notevolmente, portandomi a pensare che qualcosa abbia fatto.
Come la malattia ha cambiato la sua vita?
La mia vita è cambiata drammaticamente: da una vita particolarmente attiva e sportiva, caratterizzata da molti viaggi sia di vacanza che di lavoro, per il quale avevo trascorso anche un anno in America a gestire un progetto strategico per l’azienda per cui lavoravo come ingegnere, ad una vita in carrozzella, dipendente in tutto e per tutto. Ma devo ammettere che sono sempre stata fortunata con i medici e le persone che ho incontrato: sono stata considerata prima come persona e poi come ammalata, e quindi con tutti i miei desideri, i miei sentimenti, il mio amore e la mia ragione …il mio valore non sta in quello che posso fare ma è nel fatto che esisto, esisto proprio ora così come sono, in queste cattive condizioni di salute, amata da mio marito, dai nostri stupendi genitori, fratelli, sorelle, parenti e amici.
Desideravamo una famiglia con figli, ma i bambini non sono arrivati. Decidemmo allora, per l’amore che abbiamo sempre ricevuto, di adottare un bambino, ma la SLA è arrivata prima. Mio marito deve prendersi cura di me invece che del bambino.
Ora la realtà è che ho una malattia molto grave e ci sono momenti in cui piangiamo e siamo tristi, ma non siamo disperati, perché, in questa stessa realtà non siamo mai soli, siamo costantemente accompagnati da un enorme numero di persone straordinarie che ci circondano, sia con il loro aiuto concreto che con le loro preghiere.
Come descriverebbe la sua convivenza con la SLA?
La Dott.ssa Mazzini, al momento della diagnosi, alla mia domanda di come sarei stata un po’ di anni dopo, ha risposto di non pensare agli anni seguenti, ma di vivere al meglio il presente. Ho fatto tesoro di questo consiglio! Tutti i vari passaggi, dal bastone al trepiedi, al deambulatore, alla carrozzella, alla necessità di un comunicatore per poter parlare, al dover nutrirmi in modo particolare con la peg, pensavo proprio che fossero un mio continuo cedere alla malattia che avanzava. Ora credo che, grazie a questi ausili e all’amore di chi ho vicino, per Grazia, posso continuare a gustare la realtà che mi è donata, vivendo intensamente il presente, pur desiderando di guarire in ogni istante.
Lei e suo marito cercate in ogni modo di non farvi condizionare dalla SLA, ha qualche esperienza da raccontare?
Siamo riusciti a fare comunque delle vacanze splendide, nonostante la malattia progredisse anno dopo anno, dal mare in acqua, in barca vela, in gommone, alla montagna in carrozzella, spinta e trainata lungo bellissimi sentieri da mio marito e dagli amici. E siamo riusciti anche a viaggiare, seppur con modalità differenti rispetto al passato, visitando posti belli, incontrando cari amici e facendo pellegrinaggi. Ho anche continuato a fare sport, sempre aiutata da parenti e amici, andando a sciare, a correre maratone (avevo corso con le mie gambe la maratona di New York nel 2007), a triathlon olimpici. I miei cognati, con cari amici, hanno organizzato, coinvolgendo tante persone, dagli sponsors ai giornalisti, da amici lontani, ad ex-colleghi, ai compagni di università, tutto quanto affinché io potessi “correre” la prima maratona attorno al Lago di Varese, e successivamente quella di Milano. Hanno addirittura ideato e fatto costruire una carrozzella speciale che potesse andare bene per tale occasione.
Il 27 settembre 2015 ho corso la Maratona del Lago di Varese, accompagnata da più di 100 corridori e una gran folla che faceva festa al mio passaggio. Che emozione e che Grazia avere così tante persone che mi vogliono bene! È stato letteralmente un inno alla vita e un segno di speranza per tutti! L’iniziativa è stata collegata ad una raccolta di fondi per sostenere la ricerca sulla SLA.
Ho nel cuore quando, con una coppia di amici carissimi, siamo andati all’Opera alla Scala di Milano, con me in carrozzina e l’amico con la bombola dell’ossigeno, per un tumore al polmone. Ci siamo divertiti molto ma eravamo davvero particolari! Lo abbiamo perso troppo presto, ma fino alla fine abbiamo voluto godere di ogni momento che ci è stato donato come un regalo. Ciò che è accaduto al nostro amico e ciò che continua per me è un Mistero, non sappiamo perché, perché lo abbiamo perso e perché io sono malata, ma viviamo con amore ciò che ci è stato donato, grazie alla presenza di un enorme numero di persone che ci aiuta a vivere con letizia. Quanto noi abbiamo vissuto, in questi anni, è una Grazia, non è necessario fare, o viaggiare, ma dire sì alle circostanze che ti sono chieste di vivere, seguendo e affidandoti!
Quali speranze ripone nella ricerca?
Crediamo molto nella ricerca sostenendola con donazioni e iniziative sportive, nelle quali, oltre a raccogliere fondi, è stato possibile evidenziare la criticità della malattia e la necessità di una cura ancora sconosciuta, raggiungibile solo con molto studio e sperimentazione. Abbiamo fatto anche l’“Ice bucket challenge” per sostenerla! La tentazione di dire “basta” talvolta viene! Basta alla fatica, basta al dolore, basta all’insofferenza per la posizione del corpo, mai ottimale, basta a far soffrire le persone care vicine, basta a far alterare chi mi è accanto per le mie continue esigenze, sempre crescenti, basta a tutto questo dipendere. Ma chi sono io per dire questi basta? Io non sono altro che un rapporto, con Chi mi fa in questo istante e con chi ho attorno, rapporto che fa emergere tutte le attese del mio cuore, che sono attese di speranza e di amore. L’amore delle persone care e di mio marito, che alla mia affermazione: “La malattia mi sta prendendo tutta!” mi risponde: “No, a me non ha ancora preso e, visto che, col matrimonio, siamo una cosa sola, non ci ha preso!” mi spinge ad andare avanti certa, con forza e piena di speranza, contro tutti i basta!
Devo ringraziare Dio per il gran numero di persone che ho attorno, con il loro amore ho la forza per non mollare e per lottare contro la malattia. E proprio in attesa che la ricerca trovi la soluzione, per ridurre e cercare di rallentare gli effetti della malattia il mio meraviglioso marito mi ha costruito, all’inizio del 2014, una piscina indoor con acqua calda, per permettermi di esercitarmi con l’aiuto di carissime amiche; è incredibile come mi muova in acqua, posso camminare e nuotare una specie di dorso.
Quello che davvero desideriamo per noi, per i medici e i ricercatori, è di affrontare la realtà aperti al Mistero della vita davanti alla malattia, alla ricerca o ai pazienti. In ogni circostanza che dobbiamo affrontare e vivere, desideriamo che ciascuno chieda continuamente la ragione, il significato, di ciò che sta facendo, restando aperti a riconoscere che ultimamente i risultati non sono nelle nostre mani, pur facendo tutto il possibile per ottenerli! Ci è chiesto di usare meglio che possiamo i talenti, i cervelli e le forze, che abbiamo ricevuto, per la vita!
Sono una persona razionale e ho sempre ricercato le relazioni tra cause ed effetti nei progetti di cui ero incaricata, ma ora quello che mi aspetto dai ricercatori è qualcosa di più, è che siano aperti a risultati imprevisti, di essere senza pregiudizi e di ripartire dai risultati imprevisti verso nuove soluzioni e opportunità, essendo capaci di andare oltre a ciò che si pensava di poter raggiungere, e avendo sempre in mente lo scopo finale, la salute del paziente.
Spero veramente di guarire e così di tornare a camminare, a correre, a parlare, a lavorare, a cucinare (anche se ora mio marito cucina meglio di come cucinavo io!). Sono fiduciosa che la scienza andrà avanti e che i ricercatori troveranno quanto prima, con cellule staminali e genetica, la soluzione per questa terribile malattia. Desidero tornare a gustare un bel piatto di pasta o un buon filetto al pepe verde!